Esonero Motta, Maifredi: «Io e lui alla Juve siamo stati simili solo in una cosa, io volevo cambiare il calcio e dare la 11 a Baggio. Sono arrivato io prima di Sacchi.,.» | OneFootball

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·29. März 2025

Esonero Motta, Maifredi: «Io e lui alla Juve siamo stati simili solo in una cosa, io volevo cambiare il calcio e dare la 11 a Baggio. Sono arrivato io prima di Sacchi.,.»

Artikelbild:Esonero Motta, Maifredi: «Io e lui alla Juve siamo stati simili solo in una cosa, io volevo cambiare il calcio e dare la 11 a Baggio. Sono arrivato io prima di Sacchi.,.»

Le parole di Gigi Maifredi, ex allenatore della Juve, sulle similitudini con l’esperienza di Thiago Motta sulla panchina della Juve

In questi mesi più volte si è parlato di Gigi Maifredi in relazione a Thiago Motta. Anche lui, come il tecnico appena esonerato, passò dal Bologna alla Juventus e non andò bene. Era il 1990-91. Una vicenda che oggi lui stesso racconta a La Gazzetta dello Sport.

BONIPERTI«Mi richiamò più tardi e mi diede appuntamento il giorno dopo alle 16. Gli dissi che avevo allenamento così anticipammo alle 11. Gli ruppi una sedia di Luigi XVI, stetti un’ora a parlare con lui senza appoggiarmi mai. Drammatico. A un certo punto entra l’Avvocato. “Avvocato, sarà banale ma conoscerla è un onore”. Mi vogliono e io gli dico che faccio questo mestiere per arrivare ad allenare la Juve. Il giorno dopo racconto tutto a Corioni, che però va in crisi. Così decido di restare a Bologna, lo dovevo a lui e alla città. Mi dissi: se me la saprò meritare, mi richiameranno. E così poi è successo».IL MILAN DI SACCHI«Vedere il Milan di Sacchi era una lezione didattica pazzesca. Arrigo è stato super. Ma lui giocava col 5-4-1 e quando lo chiamarono al Milan fu quasi obbligato a giocare a 4. Così mandò osservatori a vedere i miei allenamenti e quelli di Zeman. Sacchi è arrivato dopo…».L’ARRIVO ALLA JUVE«Le racconto come arrivai alla Juve. Facciamo il corso di Coverciano io, Tardelli e Gentile. Dovevamo seguire la Germania, che va a giocare a Torino. All’entrata Marco e Claudio trovano i loro pass, io vengo preso da un addetto: “Lei venga con me, è invitato nei box”. E vengo preso da un addetto:“ Entro: c’erano Agnelli, Kissinger, i presidenti di Aston Martin e Mercedes. Faccio l’errore di dire a Kissinger “Nice to meet you” e lui pensa che io sappia l’inglese. Sapevo solo dire “yes”, “penalty”, “blue jeans”. Così quando mi parla io dico sempre yes senza capire nulla di nulla: yes yes… A un certo punto faccio: “Mamma mia che serataccia”. Un signore vicino mi guarda ed era il segretario di Agnelli. Parlava italiano ovviamente. Finisce la gara e 4-5 macchine ci aspettano fuori. Poi un aereo a Caselle: in quell’aereo ci siamo, in fondo, io, Agnelli e ancora Kissinger. “C’è un contratto triennale per lei”. “Avvocato, io firmo sempre per un anno: se non va bene sono io ad andarmene”. “Allora lei abbandona la nave mentre affonda”: prima stoccata. Mi chiamava alle 7 e diceva “Come sta il suo figlietto?”. Baggio. Quando decisi di andare via, perché volli andare via io, passeggiammo e me lo chiese: “Perché se ne vuole andare?”. Non mi sentivo a mio agio, ero abituato a comandare».MOTTA«Forse, ed è una sensazione, che lui come me si è sentito un Dio in terra arrivando alla Juve. Ma io avevo 14 giocatori, io andavo per cambiare il modo di pensare calcio e lui per migliorare un calcio che già c’era. Io venivo da 6 anni strepitosi: e magari pensavo di essere più avanti degli altri. L’accostamento fra me e Motta è semplicemente banale. Alla Juve volevo fare il 4-3-3. Hassler a destra con Casiraghi e Baggio con la “11”, solo che firmò un contratto in cui era prevista solo la 10. Il mio centrocampo ideale: un play, un Pecci, e due interni. Se mi avessero preso Dunga, su consiglio di Robi…».

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