Jair, la freccia nerazzurra e quella notte di pioggia a San Siro | OneFootball

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·27 aprile 2025

Jair, la freccia nerazzurra e quella notte di pioggia a San Siro

Immagine dell'articolo:Jair, la freccia nerazzurra e quella notte di pioggia a San Siro

Una Milano di pioggia incessante, fin dal pomeriggio. Una finale di Coppa dei Campioni da giocare a San Siro, contro il Benfica di Eusebio. E dal cielo secchiate d'acqua, a rendere il terreno di gioco un acquitrino, in attesa di una partita da mandare sui libri di storia, un anno dopo il trionfo del Prater contro il Real Madrid. "Raganelle, clacson, campanacci, trombe": l'accoglienza, allora come oggi, di un intero popolo, nonostante il meteo, per spingere la squadra di Herrera. San Siro per la finale della Coppa dei Campioni, la ricognizione su un campo di fango e pozzanghere. E un pensiero: "L'anno scorso al giro d'Italia prima della finale con il Real, Marcoli ha vinto la tappa. Quest'anno, di nuovo Marcoli: sarà un segno?". Cose da tifosi, aspettando le 21:30, il fischio d'inizio, il terreno molle e il pallone da spingere o da lanciare. Sotto quella pioggia, sopra quel campo, qualcuno sapeva comunque volare. Le gambe veloci, i passi svelti nonostante tutto. E allora eccola, la palla giusta, dopo una ripartenza, un uno-due a centrocampo, Mazzola che apre sulla destra. Lui era lì, sempre: sulla fascia destra, a solcarla su e giù per poi concludere, spesso per segnare. Jair da Costa. Tirò cadendo, scivolando, un destro rasoterra carico di speranza e veleno. Costa Pereira, portiere del Benfica, mancò la presa: il pallone di cuoio, zuppo, che supera le mani, passa tra le gambe, finisce in rete. 1-0, il gol che diede all'Inter la sua seconda Coppa dei Campioni consecutiva. A San Siro, davanti al popolo nerazzurro, che poi si riverserà nelle strade, fino in Duomo, sui tram, in una notte di festa nerazzurra, dopo un match leggendario, concluso dal Benfica in 10, dopo il forfait nella ripresa proprio del portiere. Inter stella d'Europa, titolava il Corriere della sera il giorno successivo, il 28 maggio 1965. Di nuovo campioni anche grazie a lui, alla "freccia nera", come era stato ribattezzato al suo arrivo nel 1962. Velocissimo, dribblatore abilissimo, ambidestro. Arrivò all'Inter nel 1962, l'anno in cui diventò campione del mondo con il Brasile pur senza scendere in campo: davanti a lui aveva Garrincha.

Era l'Inter di Herrera, in cui Suarez dettava i tempi di gioco, palla a Luisito e tutto era al sicuro. E poi da lì bastava lanciare sulla destra per trovare Jair, non solo un ala, anche un centravanti. Sempre in doppia cifre nelle prime tre stagioni, in gol dopo 2 minuti nell'esordio contro il Genoa, autore del primo storico gol in Coppa dei Campioni per l'Inter, nel 1963 contro l'Everton. 260 presenze in nove stagioni e appunto 70 gol: 4 Scudetti, 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe Intercontinentali. Dal 1962 al 1972 in nerazzurro, con una sola stagione alla Roma nel 67/68. Sui giornali dell'epoca lo descrivevano sempre così: "ha la velocità e le movenze di una gazzella, lo scatto di una pantera. L'attaccante che si butta nella mischia, nel vivo della difesa avversaria e si fa largo, salta, guizza, in un ribollire di calci, strattoni e gomitate". Aggressivo con il suo calcio, pacifico fuori. Nella sua città, Osasco, l'Esporte Center Jair da Costa è un luogo di calcio, di amici, dove stare in compagnia. Si capisce subito che è il posto di Jair: è tutto nerazzurro, dalla facciata in poi. Un pezzo di mondo dove ancora l'Inter e Jair gridano la passione del calcio, insieme a quella frase che, grazie al cinema, ancora risuona quando pensiamo a lui: "Jair! Il ritorno della Grande Inter!".

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